“Il 25 aprile in Italia è la Festa della Liberazione, si ricorda cioè l'anniversario della liberazione dal nazifascismo. Durante la seconda guerra mondiale (1939-1945), dopo il 1943, l'Italia si ritrovò divisa in due: al nord Benito Mussolini e i Fascisti avevano costituito la Repubblica Sociale Italiana, vicina ai tedeschi e al Nazismo di Hitler, mentre al sud si formò in opposizione il governo Badoglio, in collaborazione con gli Alleati americani e inglesi. Per combattere il dominio nazifascista si era organizzata la Resistenza, formata dai Partigiani. Questi erano uomini, donne, giovani, anziani, preti, militari, persone di diversi ceti sociali, diverse idee politiche e religiose, ma che avevano in comune la volontà di lottare personalmente, ognuno con i propri mezzi, per ottenere in patria la democrazia e il rispetto della libertà individuale e l'uguaglianza. Il 25 aprile 1945 i Partigiani, supportati dagli Alleati, entrarono vittoriosi nelle principali città italiane, mettendo fine al tragico periodo di lutti e rovine e dando così il via al processo di liberazione dell'Italia dall'oppressione fascista.Qualche anno dopo, dalle idee di democrazia e libertà, è nata la Costituzione Italiana”.
Questo è scritto nei libri di storia, quegli stessi che spesso vengono messi in discussione da nuove valutazioni che si è soliti definire revisionismo. Qualsiasi valutazione storico-politica si voglia dare alle vicende del tempo, il modo migliore per evitare che la sacrosanta obbiettività venga inficiata dall'alterazione dei fatti accaduti, è quello di attenersi alla concretezza degli atti politici e governativi posti in essere con leggi e decreti oltre che nell'andazzo squadrista. Che questo poi sia stato il risultato dell'aberrazione di una idea e di una politica che nel suo germe non conteneva, almeno agli albori, tutte le azioni che seguirono e che condussero alla trasformazione del movimento fascista in una dittatura vera e propria, potrebbe giustificare un revisionismo delle intenzioni, non certo il revisionismo del significato delle azioni concrete che si consumarono.
Dopo il delitto Matteotti il movimento fascista, attecchito nella popolazione come il desiderio di riscatto del ruolo politico e culturale che la nazione italiana poteva reclamare in funzione della sua storia, ebbe ad avere una svolta drammatica e decisiva verso la dittatura.
I fermenti d’azione che maturavano nella squadre fasciste avevano determinato un’attraente devozione alla violenza e alla coercizione, scatenatasi quasi spontaneamente negli animi più sensibili all’infatuazione collettiva.
Il gioco del rinsaldamento di una coscienza nazionale e finalmente unitaria doveva trarre origine da un orgoglio di popolo mai germogliato ma solo seminato nell’unica occasione di patria stimolata dalla Prima guerra mondiale. Al contadino Mussolini sfuggì un po’ troppo la mano durante la semina e si ritrovò, forse suo malgrado, ad assumere tutte le responsabilità della svolta che il movimento fascista subì verso una dittatura fascista.
Il preciso momento fu il discorso in parlamento di Mussolini dopo il delitto Matteotti, il 3 gennaio 1925: “.. io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi”.
Da li in poi la dittatura fascista non ebbe paura di uscire allo scoperto e, per quanto se ne voglia discutere e revisionare, furono violate le libertà fondamentali, fino alla vergogna delle leggi razziali del 1938, varate per compiacere l’alleato tedesco e sottoscritte dal Re d’Italia senza battere ciglio.
Se ne potrebbero citare a centinaia di migliaia, di episodi della vita civile quotidiana in cui si violava il massimo diritto dell’uomo di esprimersi liberamente e serenamente, secondo la spontanea dignità dell’individuo.
Il fascismo fu una dittatura ed il fatto che sia stato quasi l’intero popolo italiano ad esserne infatuato per vent’anni, non giustifica e non riscatta il movimento politico dalle responsabilità drammatiche che ne conseguirono nella vita civile prima e con l’entrata in guerra poi.
La Resistenza alla dittatura maturò solo negli ultimi due anni, dal 1943 al 1945, quando l’Italia si divise in due fra la Repubblica di Salò, voluta da Hitler per ristabilire le sorti ormai avverse all'occupazione nazista e al fascismo italiano, e tutto il resto degli italiani non fascisti spalleggiati dagli alleati.
Da una parte si combatteva per ristabilire quello che il fascismo era inevitabilmente diventato: abolizione della libertà di stampa, violenza sul dissenso politico, annientamento dei partiti e delle associazioni di ogni genere, sopraffazione di altre popolazioni europee per vantaggi nazionali, subalternità politica e militare alla psicosi nazista, imperialismo grottesco e velleitario, persecuzione razziale e tanto altro.
Dall’altra si combatteva per ristabilire il diritto fondamentale dell’uomo: semplicemente, la libertà!
Gli episodi che si consumarono furono episodi di guerra, le vittime furono vittime di guerra. Le brutture che si commisero da entrambi le parti furono pari e parimenti imputabili alla follia che le solo le guerre sanno innescare.
Ma da una parte c’era chi aveva provocato questa guerra e dall’altra chi reagiva.
E chi reagiva ha posto il germe della rinascita della nazione italiana alla libertà. Ha scritto i principi fondamentali della Costituzione Italiana nei quali solo un uomo perfido non può riconoscersi. Perché sono i principi fondamentali di umanità, di progresso, di sviluppo, di civiltà, di dignità senza le quali qualsiasi popolo non potrebbe sopravvivere degnamente.
La negazione di questi principi ha portato e porta ancora alle dittature.
Chiunque li metta in discussione non ama e non vuole un popolo libero e autodeterminato.
Chiunque non voglia riconoscere che, in questa nazione, il 25 Aprile, anche con tutti i limiti della mano militare partigiana, il popolo italiano ha deciso di intraprendere la libertà dell’uomo contro ogni dittatura, dovrà convincersi che l’Italia non è la sua residenza ideale. Anche se, la stessa libertà d’opinione conquistata, potrà permettergli di esprimere tutte le arcaiche pretese assolutistiche che vengano velatamente professate in nome di una politica morta e sepolta in tutti i paesi occidentali civili e sviluppati che ripudiano le dittature, fasciste o comuniste che siano.
Sulla pietà dei morti nessuna differenza di fronti! Come nessuna condanna merita la buona fede di chi sposò l’idea o ne fu subdolamente catturato in funzione dell’amor di patria.
Sui giovani di Salò che stavano lì perché altrimenti fucilati per diserzione, va indirizzata una particolare pietà umana.
Su quelli che ci credevano visceralmente la stessa pietà, per non aver compreso che qualsiasi grande idea non può aver valore se non presuppone la libertà dell’uomo, che non è una congettura politica ma il più grande dono che Dio ha fatto all’istinto umano.
Su tutte queste indistinte pietà, sull’entusiasmo del bene comune e sul riconoscimento della causa giusta, gli eredi di quell’esperienza drammatica potranno finalmente ritrovarsi uniti per rinsaldare le energie che incanalano le società verso lo sviluppo, la dignità dell’uomo e quei diritti irrinunciabili ormai violati solo nelle società sottosviluppate.
Chi condanna fermamente coloro che continuano a riesumare temi sepolti e sconfitti dalla storia e dal cammino dell’uomo, non allontana la 'pacificazione nazionale' dei fronti allora contrapposti ma, più doverosamente, tutela i diritti irrinunciabili, scongiurando nuovi e pericolosi ritorni di fiamma, sempre in agguato, ogni qualvolta le società vengono coartate dalla crisi dei valori per sposare la superficialità dei falsi miti che sanno, purtroppo, riproporsi, in alterni corsi storici, sotto le mentite spoglie del favore di popolo. (ap)
Questo è scritto nei libri di storia, quegli stessi che spesso vengono messi in discussione da nuove valutazioni che si è soliti definire revisionismo. Qualsiasi valutazione storico-politica si voglia dare alle vicende del tempo, il modo migliore per evitare che la sacrosanta obbiettività venga inficiata dall'alterazione dei fatti accaduti, è quello di attenersi alla concretezza degli atti politici e governativi posti in essere con leggi e decreti oltre che nell'andazzo squadrista. Che questo poi sia stato il risultato dell'aberrazione di una idea e di una politica che nel suo germe non conteneva, almeno agli albori, tutte le azioni che seguirono e che condussero alla trasformazione del movimento fascista in una dittatura vera e propria, potrebbe giustificare un revisionismo delle intenzioni, non certo il revisionismo del significato delle azioni concrete che si consumarono.
Dopo il delitto Matteotti il movimento fascista, attecchito nella popolazione come il desiderio di riscatto del ruolo politico e culturale che la nazione italiana poteva reclamare in funzione della sua storia, ebbe ad avere una svolta drammatica e decisiva verso la dittatura.
I fermenti d’azione che maturavano nella squadre fasciste avevano determinato un’attraente devozione alla violenza e alla coercizione, scatenatasi quasi spontaneamente negli animi più sensibili all’infatuazione collettiva.
Il gioco del rinsaldamento di una coscienza nazionale e finalmente unitaria doveva trarre origine da un orgoglio di popolo mai germogliato ma solo seminato nell’unica occasione di patria stimolata dalla Prima guerra mondiale. Al contadino Mussolini sfuggì un po’ troppo la mano durante la semina e si ritrovò, forse suo malgrado, ad assumere tutte le responsabilità della svolta che il movimento fascista subì verso una dittatura fascista.
Il preciso momento fu il discorso in parlamento di Mussolini dopo il delitto Matteotti, il 3 gennaio 1925: “.. io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi”.
Da li in poi la dittatura fascista non ebbe paura di uscire allo scoperto e, per quanto se ne voglia discutere e revisionare, furono violate le libertà fondamentali, fino alla vergogna delle leggi razziali del 1938, varate per compiacere l’alleato tedesco e sottoscritte dal Re d’Italia senza battere ciglio.
Se ne potrebbero citare a centinaia di migliaia, di episodi della vita civile quotidiana in cui si violava il massimo diritto dell’uomo di esprimersi liberamente e serenamente, secondo la spontanea dignità dell’individuo.
Il fascismo fu una dittatura ed il fatto che sia stato quasi l’intero popolo italiano ad esserne infatuato per vent’anni, non giustifica e non riscatta il movimento politico dalle responsabilità drammatiche che ne conseguirono nella vita civile prima e con l’entrata in guerra poi.
La Resistenza alla dittatura maturò solo negli ultimi due anni, dal 1943 al 1945, quando l’Italia si divise in due fra la Repubblica di Salò, voluta da Hitler per ristabilire le sorti ormai avverse all'occupazione nazista e al fascismo italiano, e tutto il resto degli italiani non fascisti spalleggiati dagli alleati.
Da una parte si combatteva per ristabilire quello che il fascismo era inevitabilmente diventato: abolizione della libertà di stampa, violenza sul dissenso politico, annientamento dei partiti e delle associazioni di ogni genere, sopraffazione di altre popolazioni europee per vantaggi nazionali, subalternità politica e militare alla psicosi nazista, imperialismo grottesco e velleitario, persecuzione razziale e tanto altro.
Dall’altra si combatteva per ristabilire il diritto fondamentale dell’uomo: semplicemente, la libertà!
Gli episodi che si consumarono furono episodi di guerra, le vittime furono vittime di guerra. Le brutture che si commisero da entrambi le parti furono pari e parimenti imputabili alla follia che le solo le guerre sanno innescare.
Ma da una parte c’era chi aveva provocato questa guerra e dall’altra chi reagiva.
E chi reagiva ha posto il germe della rinascita della nazione italiana alla libertà. Ha scritto i principi fondamentali della Costituzione Italiana nei quali solo un uomo perfido non può riconoscersi. Perché sono i principi fondamentali di umanità, di progresso, di sviluppo, di civiltà, di dignità senza le quali qualsiasi popolo non potrebbe sopravvivere degnamente.
La negazione di questi principi ha portato e porta ancora alle dittature.
Chiunque li metta in discussione non ama e non vuole un popolo libero e autodeterminato.
Chiunque non voglia riconoscere che, in questa nazione, il 25 Aprile, anche con tutti i limiti della mano militare partigiana, il popolo italiano ha deciso di intraprendere la libertà dell’uomo contro ogni dittatura, dovrà convincersi che l’Italia non è la sua residenza ideale. Anche se, la stessa libertà d’opinione conquistata, potrà permettergli di esprimere tutte le arcaiche pretese assolutistiche che vengano velatamente professate in nome di una politica morta e sepolta in tutti i paesi occidentali civili e sviluppati che ripudiano le dittature, fasciste o comuniste che siano.
Sulla pietà dei morti nessuna differenza di fronti! Come nessuna condanna merita la buona fede di chi sposò l’idea o ne fu subdolamente catturato in funzione dell’amor di patria.
Sui giovani di Salò che stavano lì perché altrimenti fucilati per diserzione, va indirizzata una particolare pietà umana.
Su quelli che ci credevano visceralmente la stessa pietà, per non aver compreso che qualsiasi grande idea non può aver valore se non presuppone la libertà dell’uomo, che non è una congettura politica ma il più grande dono che Dio ha fatto all’istinto umano.
Su tutte queste indistinte pietà, sull’entusiasmo del bene comune e sul riconoscimento della causa giusta, gli eredi di quell’esperienza drammatica potranno finalmente ritrovarsi uniti per rinsaldare le energie che incanalano le società verso lo sviluppo, la dignità dell’uomo e quei diritti irrinunciabili ormai violati solo nelle società sottosviluppate.
Chi condanna fermamente coloro che continuano a riesumare temi sepolti e sconfitti dalla storia e dal cammino dell’uomo, non allontana la 'pacificazione nazionale' dei fronti allora contrapposti ma, più doverosamente, tutela i diritti irrinunciabili, scongiurando nuovi e pericolosi ritorni di fiamma, sempre in agguato, ogni qualvolta le società vengono coartate dalla crisi dei valori per sposare la superficialità dei falsi miti che sanno, purtroppo, riproporsi, in alterni corsi storici, sotto le mentite spoglie del favore di popolo. (ap)