domenica 26 aprile 2009

25 Aprile: Liberazione dal nazifascimo


“Il 25 aprile in Italia è la Festa della Liberazione, si ricorda cioè l'anniversario della liberazione dal nazifascismo. Durante la seconda guerra mondiale (1939-1945), dopo il 1943, l'Italia si ritrovò divisa in due: al nord Benito Mussolini e i Fascisti avevano costituito la Repubblica Sociale Italiana, vicina ai tedeschi e al Nazismo di Hitler, mentre al sud si formò in opposizione il governo Badoglio, in collaborazione con gli Alleati americani e inglesi. Per combattere il dominio nazifascista si era organizzata la Resistenza, formata dai Partigiani. Questi erano uomini, donne, giovani, anziani, preti, militari, persone di diversi ceti sociali, diverse idee politiche e religiose, ma che avevano in comune la volontà di lottare personalmente, ognuno con i propri mezzi, per ottenere in patria la democrazia e il rispetto della libertà individuale e l'uguaglianza. Il 25 aprile 1945 i Partigiani, supportati dagli Alleati, entrarono vittoriosi nelle principali città italiane, mettendo fine al tragico periodo di lutti e rovine e dando così il via al processo di liberazione dell'Italia dall'oppressione fascista.Qualche anno dopo, dalle idee di democrazia e libertà, è nata la Costituzione Italiana”.

Questo è scritto nei libri di storia, quegli stessi che spesso vengono messi in discussione da nuove valutazioni che si è soliti definire revisionismo. Qualsiasi valutazione storico-politica si voglia dare alle vicende del tempo, il modo migliore per evitare che la sacrosanta obbiettività venga inficiata dall'alterazione dei fatti accaduti, è quello di attenersi alla concretezza degli atti politici e governativi posti in essere con leggi e decreti oltre che nell'andazzo squadrista. Che questo poi sia stato il risultato dell'aberrazione di una idea e di una politica che nel suo germe non conteneva, almeno agli albori, tutte le azioni che seguirono e che condussero alla trasformazione del movimento fascista in una dittatura vera e propria, potrebbe giustificare un revisionismo delle intenzioni, non certo il revisionismo del significato delle azioni concrete che si consumarono.
Dopo il delitto Matteotti il movimento fascista, attecchito nella popolazione come il desiderio di riscatto del ruolo politico e culturale che la nazione italiana poteva reclamare in funzione della sua storia, ebbe ad avere una svolta drammatica e decisiva verso la dittatura.
I fermenti d’azione che maturavano nella squadre fasciste avevano determinato un’attraente devozione alla violenza e alla coercizione, scatenatasi quasi spontaneamente negli animi più sensibili all’infatuazione collettiva.
Il gioco del rinsaldamento di una coscienza nazionale e finalmente unitaria doveva trarre origine da un orgoglio di popolo mai germogliato ma solo seminato nell’unica occasione di patria stimolata dalla Prima guerra mondiale. Al contadino Mussolini sfuggì un po’ troppo la mano durante la semina e si ritrovò, forse suo malgrado, ad assumere tutte le responsabilità della svolta che il movimento fascista subì verso una dittatura fascista.
Il preciso momento fu il discorso in parlamento di Mussolini dopo il delitto Matteotti, il 3 gennaio 1925: “.. io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi”.
Da li in poi la dittatura fascista non ebbe paura di uscire allo scoperto e, per quanto se ne voglia discutere e revisionare, furono violate le libertà fondamentali, fino alla vergogna delle leggi razziali del 1938, varate per compiacere l’alleato tedesco e sottoscritte dal Re d’Italia senza battere ciglio.
Se ne potrebbero citare a centinaia di migliaia, di episodi della vita civile quotidiana in cui si violava il massimo diritto dell’uomo di esprimersi liberamente e serenamente, secondo la spontanea dignità dell’individuo.
Il fascismo fu una dittatura ed il fatto che sia stato quasi l’intero popolo italiano ad esserne infatuato per vent’anni, non giustifica e non riscatta il movimento politico dalle responsabilità drammatiche che ne conseguirono nella vita civile prima e con l’entrata in guerra poi.
La Resistenza alla dittatura maturò solo negli ultimi due anni, dal 1943 al 1945, quando l’Italia si divise in due fra la Repubblica di Salò, voluta da Hitler per ristabilire le sorti ormai avverse all'occupazione nazista e al fascismo italiano, e tutto il resto degli italiani non fascisti spalleggiati dagli alleati.
Da una parte si combatteva per ristabilire quello che il fascismo era inevitabilmente diventato: abolizione della libertà di stampa, violenza sul dissenso politico, annientamento dei partiti e delle associazioni di ogni genere, sopraffazione di altre popolazioni europee per vantaggi nazionali, subalternità politica e militare alla psicosi nazista, imperialismo grottesco e velleitario, persecuzione razziale e tanto altro.
Dall’altra si combatteva per ristabilire il diritto fondamentale dell’uomo: semplicemente, la libertà!
Gli episodi che si consumarono furono episodi di guerra, le vittime furono vittime di guerra. Le brutture che si commisero da entrambi le parti furono pari e parimenti imputabili alla follia che le solo le guerre sanno innescare.
Ma da una parte c’era chi aveva provocato questa guerra e dall’altra chi reagiva.
E chi reagiva ha posto il germe della rinascita della nazione italiana alla libertà. Ha scritto i principi fondamentali della Costituzione Italiana nei quali solo un uomo perfido non può riconoscersi. Perché sono i principi fondamentali di umanità, di progresso, di sviluppo, di civiltà, di dignità senza le quali qualsiasi popolo non potrebbe sopravvivere degnamente.
La negazione di questi principi ha portato e porta ancora alle dittature.
Chiunque li metta in discussione non ama e non vuole un popolo libero e autodeterminato.
Chiunque non voglia riconoscere che, in questa nazione, il 25 Aprile, anche con tutti i limiti della mano militare partigiana, il popolo italiano ha deciso di intraprendere la libertà dell’uomo contro ogni dittatura, dovrà convincersi che l’Italia non è la sua residenza ideale. Anche se, la stessa libertà d’opinione conquistata, potrà permettergli di esprimere tutte le arcaiche pretese assolutistiche che vengano velatamente professate in nome di una politica morta e sepolta in tutti i paesi occidentali civili e sviluppati che ripudiano le dittature, fasciste o comuniste che siano.
Sulla pietà dei morti nessuna differenza di fronti! Come nessuna condanna merita la buona fede di chi sposò l’idea o ne fu subdolamente catturato in funzione dell’amor di patria.
Sui giovani di Salò che stavano lì perché altrimenti fucilati per diserzione, va indirizzata una particolare pietà umana.
Su quelli che ci credevano visceralmente la stessa pietà, per non aver compreso che qualsiasi grande idea non può aver valore se non presuppone la libertà dell’uomo, che non è una congettura politica ma il più grande dono che Dio ha fatto all’istinto umano.
Su tutte queste indistinte pietà, sull’entusiasmo del bene comune e sul riconoscimento della causa giusta, gli eredi di quell’esperienza drammatica potranno finalmente ritrovarsi uniti per rinsaldare le energie che incanalano le società verso lo sviluppo, la dignità dell’uomo e quei diritti irrinunciabili ormai violati solo nelle società sottosviluppate.
Chi condanna fermamente coloro che continuano a riesumare temi sepolti e sconfitti dalla storia e dal cammino dell’uomo, non allontana la 'pacificazione nazionale' dei fronti allora contrapposti ma, più doverosamente, tutela i diritti irrinunciabili, scongiurando nuovi e pericolosi ritorni di fiamma, sempre in agguato, ogni qualvolta le società vengono coartate dalla crisi dei valori per sposare la superficialità dei falsi miti che sanno, purtroppo, riproporsi, in alterni corsi storici, sotto le mentite spoglie del favore di popolo. (ap)

giovedì 16 aprile 2009

Cubature, democrazia e vilipendio



Che il diritto di satira sia il sale della democrazia non c’è bisogno di ribadirlo. Che quando la democrazia traballa sia proprio la satira la prima a farne le spese, ce l’ha insegnato ampiamente la storia di tutti i tempi.
Sorvolando sul concetto di libertà di stampa e di libera opinione, che a quanto pare non ha più un valore universale ma interpretativo delle esigenze faziose (che talvolta hanno pure la faccia tosta di qualificarsi con appellativi contraddittori, perlomeno nella mentalità), sarebbe il caso di analizzare il fatto specifico accaduto nella trasmissione Rai ‘Annozero’ e che ha visto protagonista il vignettista Vauro Senesi.
Il direttore generale della Rai, Mauro Masi, ha rescisso il contratto con Vauro Senesi a causa di una vignetta "gravemente lesiva dei sentimenti di pietà dei defunti e in contrasto con i doveri e la missione del servizio pubblico".
Ora, per dare un’interpretazione del genere ad una vignetta satirica che tutto vuole stimolare fuorché una canzonatura alle vittime, bisogna essere proprio perversi. O non avere la minima idea del senso della satira e di quello che vuole realmente ottenere.
In quella vignetta c’è tutto il dolore e la disperazione per una tragedia che forse si sarebbe potuta limitare nelle sue dimensioni. Trovare un’assonanza con la cronaca, come quello delle cubature, da associare al tragico evento, potrebbe significare, intanto, relazionare la priorità di interessi che precedentemente si è avuta rispetto all’evenienza sismica.
Senza scomodare la teoria di quello studioso che diceva di aver previsto la violenta scossa, il terremoto a L’Aquila aveva tutti i caratteri di prevedibilità generica. Infatti molti degli scampati lo hanno potuto raccontare perché dormivano sul divano, pronti a scappare da un’eventuale scossa più forte di quelle che avvertivano ormai da giorni.
Mentre l’Italia discuteva di cubature, nessuno si è allarmato più di tanto, se non altro per predisporre i soccorsi all’immediatezza. Da qui la domanda è d’obbligo: come si può non cercare responsabili in una Protezione Civile che 12 ore dopo il sisma era ancora incolonnata con il grosso dei soccorsi sull’autostrada Roma -L’Aquila, invece di stare lì, pronta alle porte della città?
E dove sta scritto che non bisogna criticare l’organizzazione dei vertici solo perché il suo esercito è composto da migliaia di volontari eroi sul cui impegno nessuno potrà mai dubitare?
Durante l’emergenza ogni critica è un intralcio: solo la collaborazione ha ragione di esistere. Ma dopo? Dopo bisogna tirare le somme, per migliorarsi, per scongiurare altre tragedie, per correggere gli errori. Questa è civiltà! Civiltà del progresso e dell’evoluzione contro le barricate di potere e di propaganda che mirano all’appiattimento e al consenso forzato.
In tutto questo sono mancati proprio coloro che avevano il dovere costituzionale di informare, come la tv pubblica. Ma quando qualcuno si azzarda a mettere a nudo le disfunzioni e le aberrazioni, viene cacciato in malo modo col pretesto di una vignetta che, benché forte nel suo tipico spirito satirico, altro non voleva trasmettere che la disperazione del suo autore, la sua rabbia dinnanzi ad un tragedia forse evitabile, la sua denuncia contro le attenzioni dei governi su problemi inconsistenti, preferiti all’allarme che meritava lo sciame sismico che stava interessando l’Abruzzo, nella trascuratezza di quelle sentinelle che rassicuravano tutti, fino alla denuncia per procurato allarme nei confronti di un uomo che lo dava.
E poi cosa ci sarebbe di irrispettoso in una vignetta che associa il tema delle cubature con la consueta crudezza sarcastica? Ma come si fa a non cogliere lo sconforto di quell’asprezza invece dell’assurda ed imbecille esegesi dell’irriverenza ai morti?
Ognuno manifesta e rappresenta la sua sensibilità con i mezzi che gli sono propri e, sinceramente, quella vignetta è una delle più toccanti e disperate grida di dolore che in questi giorni si siano mai alzate. Proprio perché cruda ed essenziale, secca e rabbiosa, stridula e violenta, rassegnata e allo stesso tempo combattiva… quanto quel punto esclamativo.
E’ la stessa reazione che ci si sarebbe aspettato da qualsiasi familiare colpito dalla tragedia di quelle morti. Vauro in quella vignetta sembra coinvolto fino all’osso di quel dolore diretto, quasi familiare. Lo avverte e lo rappresenta con la stessa rabbiosa impudenza nei confronti di un destino quasi preannunciato dalla cronaca politica e ripreso con quell’assonanza cinica che solo una grande intelligenza e sensibilità può avere il coraggio di rappresentare in termini così infinitamente concreti. Com’è concreto il dolore e le sue manifestazioni, lontano anni luce dalle smancerie affettate ed ostentate del cordoglio ufficiale e di facciata.
Ma ora sono, tutti indistintamente, pronti a tagliare la testa a Vauro, quando la testa bisognerebbe tagliarla a tutti quelli che hanno potuto solo sospettare la dissacrazione delle vittime, secondo una lettura tale da far inorridire anche il più vile degli sciacalli.
La stessa cosa scritta può avere più letture, qualunque giornalista lo sa; come sa anche che qualunque cosa scritta è affidata alla buona fede del lettore, salvo stoltezza conclamata. Che tanti, senza coglierne l’evidente essenza, abbiano voluto fermarsi all’associazione delle povere vittime con un fatto tecnico edilizio della discussione politica, è veramente disarmante e preoccupante.
Se “ognun dal proprio cor l’altrui misura” ci sarà da stare allegri per come siamo rappresentati, sia a destra che a manca, sia nei vertici Rai che in quell’opinione pubblica che condanna senza processo, che s’imbambola senza approfondire, che sospetta invece di appurare, che sentenzia invece di scomporre, che acclama l’informazione pilotata contro ogni tentativo di libertà di espressione e di critica.
E tutto questo in uno Stato in cui l'informazione pubblica Rai (al pari di Mediaset) rifiuta di acquistare l’intervista della gaffe di Berlusconi, mentre tutto il mondo la pubblica. Avranno anche lì esagerato nel forzare l’interpretazione del Presidente del Consiglio (che sicuramente voleva riferirsi ai tempi, quando parlava di un campeggio da week-end) ma resta il fatto che non c’è stato uno straccio di telegiornale che abbia commentato o pubblicato l’intervista, in positivo o negativo. Nel frattempo Vauro Senesi è stato preso a ‘calcinculo’ per aver esercitato il suo diritto di satira, peraltro lontano… molto lontano da ogni meschina intenzione lesiva.
Se siamo ancora un paese civile e vogliamo veramente essere solidali anche con questa nuova ‘vittima’ della libera informazione, facciamo conoscere ai vertici Rai il nostro dissenso per quest’altra pericolosa minaccia alla democrazia. Non lasciamo passare altri ‘editti bulgari’ per evitare che qualcuno dica, quando non avremo più memoria, che anche Vauro Senesi come Enzo Biagi, cambiò programma “perché da un’altra parte lo pagavano di più” mentre qualche giornalista suo collega, presente alla bestemmia, annuirà senza ribattere, per non compromettere il suo posto di lavoro. (angelo papadia)